di Sergio Alcamo.
Su
Nicolò Mineo poco o nulla sappiamo. Nel dizionario del Sarullo è citato come
“pittore del XVIII secolo operante a Palermo” e se ne trascrive una liberazione
del 30 settembre 1728 per la realizzazione di uno stendardo a due facce per il “Consule
di Tunnisi”, raffigurante l’aquila imperiale, opera al momento irreperibile[1].
L’unico
dipinto per ora noto di questo artista è la grande pala raffigurante l’Immacolata Concezione (fig. 1), realizzata
nel 1716 per l’altare maggiore della chiesa eponima di Salemi e tuttora in situ[2].
Fig. 1 - Nicolò Mineo, Immacolata Concezione, 1716, Salemi,
chiesa della Concezione (foto S. Alcamo).
Sebbene
l’opera riporti ancora i segni dei danni del terremoto del 1968 si trova in uno
stato di conservazione abbastanza buono. Raffigura la Madonna abbigliata come
una regina con un vistoso manto azzurro, accolta in cielo da Dio Padre e dallo
Spirito Santo sotto forma di colomba bianca, attorniata da angeli e testine di
cherubini. Tra gli attributi tradizionali la falce di luna ai piedi, lo
specchio retto da uno degli angeli in primo piano e il serpente scacciato.
Modello
di partenza per questa composizione è la tela del medesimo soggetto di Pietro
Berrettini detto Pietro da Cortona (1596-1669) realizzata nel 1662 per un altare
della chiesa di S. Filippo Neri a Perugia (fig. 2) e tradotta più volte in
incisione, da Louis Gomier a François Spierre (fig. 3), entro la prima metà del
‘700[3].
Fig. 2 - Pietro da Cortona, Immacolata, 1662, olio su tela, Perugia,
chiesa di S. Filippo Neri (da http://www.ediart.it/images/Archivio%20fotografico/index.html/Sec.%20XVII/dipint%20mob%20XVII/pag%20C2/pag%20C2.htm).
Fig. 3 - François Spierre (da Pietro
da Cortona), Immacolata, incisione,
prima metà del XVIII secolo ( da http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ARML0345670&mode=all&teca=MagTeca+-+ICCU).
Il Mineo
recupera interamente la figura di Dio padre e il grande globo terrestre ai
piedi della Vergine al quale è attorcigliato il demonio, trasformando però quest’ultimo
nel più tradizionale serpente. Poi sposta al centro Maria, alla quale fa
volgere il capo verso il cielo, stendere il braccio destro e piegare le
ginocchia sulla falce di luna; arricchisce infine il tutto con grandi angeli e lo
Spirito Santo in forma di candida colomba.
Lo
stile del Mineo appare caratterizzato da pieghe frastagliate, taglienti e spigolose.
La matrice culturale è chiaramente debitrice della scuola pittorica settecentesca
trapanese, da Domenico La Bruna a Giuseppe Felici e soprattutto a Giuseppe La
Francesca: cieli dorati, incarnati rosati e madreperlacei, colori delicati e fisionomie
dolci[4].
Una desunzione
dalla tela salemitana è ravvisabile in un dipinto della serie con le Storie della Vergine realizzata verso il
1725 da Giuseppe Felici per il santuario dell’Annunziata di Trapani (fig. 4).
Fig. 4 - Giuseppe Felici, Immacolata,
1725 ca., olio su tela, Trapani, santuario dell’Annunziata (da http://www.innerwheel.it/club/iwc181/services/?id=5792&page=1).
Non
sappiamo quale grado di parentela sia intercorsa con tal Michele Mineo, citato
sempre dal Sarullo[5].
Quest’ultimo viene elencato come “pittore trapanese o più probabilmente
marsalese”. Dalle due opere firmate e datate per la chiesa di S. Francesco
d’Assisi di Marsala, rispettivamente del 1844 e 1845, deduciamo che possa
essere un discendente, forse un nipote o un pronipote.
Tornando
a Nicolò Mineo, poiché questo nome si ritrova inciso sul celebre paliotto in
argento del Museo Pepoli di Trapani (fig. 5), realizzato tra 1739 e il 1743
ca., in passato si è ritenuto che fosse la firma dello scultore[6].
Fig. 5 - Argentieri
trapanesi, sec. XVIII, Paliotto d’altare,
argento sbalzato, cesellato, fuso su anima lignea, Trapani, Museo Regionale “A.
Pepoli” (da http://www.regione.sicilia.it/bbccaa/museopepoli/Sezioni.html).
Lina Novara
ha ipotizzato che, non comparendo il nome del Mineo tra quello degli argentieri
noti, potrebbe essere quello di uno dei committenti o di colui che ha curato le
scritte sul citato paliotto[7].
Secondo
Vincenzo Scuderi[8] il
disegno per il manufatto sarebbe stato fornito del pittore-architetto trapanese
Giovanni Biagio Amico, autore di disegni, prospettive e affreschi, oggi quasi
tutti perduti[9].
Forse
il nome del finora poco noto pittore Nicolò Mineo rivela invece la vera
paternità dell’artefice del disegno del paliotto trapanese.
È
solo un’ipotesi in attesa di nuove e dirimenti certezze documentali.
[1] L. Sarullo, Dizionario
degli artisti siciliani. II. Pittura, a cura di A.M. Spadaro, Palermo 1993,
p, 356, ad vocem.; cfr. C. Cataldo, Guida storico-artistica di Alcamo,
Calatafimi, Castellammare del Golfo, Salemi, Vita, Alcamo 1982, p. 161.
[2] L’opera è riprodotta in F. Venezia, M. Jodice, Salemi e il suo territorio, Milano 1984,
p. 164. Cfr. http://matricesalemi.blogspot.it/p/beni-ecclesiastici.html a cura di Alessandro Palermo.
[3] http://www.internetculturale.it/opencms/ricercaMag.jsp?q=&searchType=avanzato&channel__subject=%22Pietro+%3A+da+Cortona+-+Immacolata+Concezione%22&opCha__subject=AND
[4]
Sui pittori trapanesi citati (La Bruna, Felici, La Francesca) si veda alle rispettive
voci Sarullo 1993, op. cit., rispettivamente pp. 271-273; pp. 197-198; pp.
277-278 (con bibliografia precdente).
[5]
Ibidem, ad vocem, p. 355-356.
[6] F. De Felice, Arte
del trapanese: pittura ed arti minori, Industrie riunite editoriali
siciliane 1936, p. 41, “Anche il Pallio d’argento del Real Museo Pepoli [….] Nicolò
Mineo trapanese (sec. XVIII) lo cesellò per la chiesa di S. Domenico”.
[7]
M. C. Di Natale, Arti decorative nel
Museo Pepoli di Trapani, in Museo
Pepoli, Palermo 1991, pp. 95-97.
[8]
V, Scuderi, Il Museo Nazionale Pepoli di
Trapani, Roma 1965. Cfr. Di Natale
1991, op. cit., p. 97.
[9]
Su Giovan Biagio Amico si veda A. Mazzamuto, Giovanni Biagio Amico architetto e trattatista del Settecento,
Palermo 2003, con bibliografia.
Nessun commento:
Posta un commento