venerdì 18 aprile 2014

NICOLO’ MINEO PITTORE SICILIANO POCO NOTO DEL XVIII SECOLO.

di Sergio Alcamo.


Su Nicolò Mineo poco o nulla sappiamo. Nel dizionario del Sarullo è citato come “pittore del XVIII secolo operante a Palermo” e se ne trascrive una liberazione del 30 settembre 1728 per la realizzazione di uno stendardo a due facce per il “Consule di Tunnisi”, raffigurante l’aquila imperiale, opera al momento irreperibile[1].
L’unico dipinto per ora noto di questo artista è la grande pala raffigurante l’Immacolata Concezione (fig. 1), realizzata nel 1716 per l’altare maggiore della chiesa eponima di Salemi e tuttora in situ[2].


Fig. 1 - Nicolò Mineo, Immacolata Concezione, 1716, Salemi, chiesa della Concezione (foto S. Alcamo).

Sebbene l’opera riporti ancora i segni dei danni del terremoto del 1968 si trova in uno stato di conservazione abbastanza buono. Raffigura la Madonna abbigliata come una regina con un vistoso manto azzurro, accolta in cielo da Dio Padre e dallo Spirito Santo sotto forma di colomba bianca, attorniata da angeli e testine di cherubini. Tra gli attributi tradizionali la falce di luna ai piedi, lo specchio retto da uno degli angeli in primo piano e il serpente scacciato.
Modello di partenza per questa composizione è la tela del medesimo soggetto di Pietro Berrettini detto Pietro da Cortona (1596-1669) realizzata nel 1662 per un altare della chiesa di S. Filippo Neri a Perugia (fig. 2) e tradotta più volte in incisione, da Louis Gomier a François Spierre (fig. 3), entro la prima metà del ‘700[3].
  
Fig. 2 - Pietro da Cortona, Immacolata, 1662, olio su tela, Perugia, chiesa di S. Filippo Neri (da http://www.ediart.it/images/Archivio%20fotografico/index.html/Sec.%20XVII/dipint%20mob%20XVII/pag%20C2/pag%20C2.htm).

  
Fig. 3 - François Spierre (da Pietro da Cortona), Immacolata, incisione, prima metà del XVIII secolo ( da http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ARML0345670&mode=all&teca=MagTeca+-+ICCU).

Il Mineo recupera interamente la figura di Dio padre e il grande globo terrestre ai piedi della Vergine al quale è attorcigliato il demonio, trasformando però quest’ultimo nel più tradizionale serpente. Poi sposta al centro Maria, alla quale fa volgere il capo verso il cielo, stendere il braccio destro e piegare le ginocchia sulla falce di luna; arricchisce infine il tutto con grandi angeli e lo Spirito Santo in forma di candida colomba.
Lo stile del Mineo appare caratterizzato da pieghe frastagliate, taglienti e spigolose. La matrice culturale è chiaramente debitrice della scuola pittorica settecentesca trapanese, da Domenico La Bruna a Giuseppe Felici e soprattutto a Giuseppe La Francesca: cieli dorati, incarnati rosati e madreperlacei, colori delicati e fisionomie dolci[4].
Una desunzione dalla tela salemitana è ravvisabile in un dipinto della serie con le Storie della Vergine realizzata verso il 1725 da Giuseppe Felici per il santuario dell’Annunziata di Trapani (fig. 4).



Fig. 4 - Giuseppe Felici, Immacolata, 1725 ca., olio su tela, Trapani, santuario dell’Annunziata (da http://www.innerwheel.it/club/iwc181/services/?id=5792&page=1).

Non sappiamo quale grado di parentela sia intercorsa con tal Michele Mineo, citato sempre dal Sarullo[5]. Quest’ultimo viene elencato come “pittore trapanese o più probabilmente marsalese”. Dalle due opere firmate e datate per la chiesa di S. Francesco d’Assisi di Marsala, rispettivamente del 1844 e 1845, deduciamo che possa essere un discendente, forse un nipote o un pronipote.
Tornando a Nicolò Mineo, poiché questo nome si ritrova inciso sul celebre paliotto in argento del Museo Pepoli di Trapani (fig. 5), realizzato tra 1739 e il 1743 ca., in passato si è ritenuto che fosse la firma dello scultore[6].


Fig. 5 - Argentieri trapanesi, sec. XVIII, Paliotto d’altare, argento sbalzato, cesellato, fuso su anima lignea, Trapani, Museo Regionale “A. Pepoli” (da http://www.regione.sicilia.it/bbccaa/museopepoli/Sezioni.html).

Lina Novara ha ipotizzato che, non comparendo il nome del Mineo tra quello degli argentieri noti, potrebbe essere quello di uno dei committenti o di colui che ha curato le scritte sul citato paliotto[7].
Secondo Vincenzo Scuderi[8] il disegno per il manufatto sarebbe stato fornito del pittore-architetto trapanese Giovanni Biagio Amico, autore di disegni, prospettive e affreschi, oggi quasi tutti perduti[9].
Forse il nome del finora poco noto pittore Nicolò Mineo rivela invece la vera paternità dell’artefice del disegno del paliotto trapanese.
È solo un’ipotesi in attesa di nuove e dirimenti certezze documentali.





[1] L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. II. Pittura, a cura di A.M. Spadaro, Palermo 1993, p, 356, ad vocem.; cfr. C. Cataldo, Guida storico-artistica di Alcamo, Calatafimi, Castellammare del Golfo, Salemi, Vita, Alcamo 1982, p. 161.
[2] L’opera è riprodotta in F. Venezia, M. Jodice, Salemi e il suo territorio, Milano 1984, p. 164. Cfr. http://matricesalemi.blogspot.it/p/beni-ecclesiastici.html a cura di Alessandro Palermo.

[3] http://www.internetculturale.it/opencms/ricercaMag.jsp?q=&searchType=avanzato&channel__subject=%22Pietro+%3A+da+Cortona+-+Immacolata+Concezione%22&opCha__subject=AND
[4] Sui pittori trapanesi citati (La Bruna, Felici, La Francesca) si veda alle rispettive voci Sarullo 1993, op. cit., rispettivamente pp. 271-273; pp. 197-198; pp. 277-278 (con bibliografia precdente).
[5] Ibidem, ad vocem, p. 355-356.
[6] F. De Felice, Arte del trapanese: pittura ed arti minori, Industrie riunite editoriali siciliane 1936, p. 41, “Anche il Pallio d’argento del Real Museo Pepoli [….] Nicolò Mineo trapanese (sec. XVIII) lo cesellò per la chiesa di S. Domenico”.
[7] M. C. Di Natale, Arti decorative nel Museo Pepoli di Trapani, in Museo Pepoli, Palermo 1991, pp. 95-97.
[8] V, Scuderi, Il Museo Nazionale Pepoli di Trapani, Roma 1965.  Cfr. Di Natale 1991, op. cit., p. 97.
[9] Su Giovan Biagio Amico si veda A. Mazzamuto, Giovanni Biagio Amico architetto e trattatista del Settecento, Palermo 2003, con bibliografia. 






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