di Sergio
Alcamo
Una particolare iconografia della Madonna
degli Agonizzanti – o,
come in alcuni casi viene citata, del Moribondo
o della Buona morte[1] - sembra sia legata in modo indissolubile al nome del pittore palermitano
Vito D’Anna (1718-1769), che avrebbe affrontato questo soggetto più volte nel
corso della sua carriera artistica, in particolar modo nella sua fase iniziale[2].
Lo storico Leonardo Vigo, infatti, ci
tramanda il ricordo di un quadro realizzato dal giovane pittore per la chiesa
degli Agonizzanti ad Acireale quando si trovava ancora alle dipendenze del
Vasta e dunque entro il 1744.
Nel descrivere quest’opera, nota
appunto come la Buona morte, il
biografo sottolineava «è in questa raffigurato un moribondo, cui la religione
appresta gli estremi aiuti; e l’immagine della morte, l’agitazione dell’infermo,
con il dolore della famiglia derelitta, vi sono descritti con qualche energia,
e svelano come l’autore faceasi mano mano dotto nella difficilissima arte
dell’espressione»[3].
Per Citti Siracusano, che citava la medesima
versione come il Moribondo, la tela sarebbe
stata dipinta dall’artista nel 1743, ma senza mostrare alcun documento a
riprova di questa specifica datazione[4].
L’opera attualmente è irreperibile e
non sappiamo cosa rappresentasse esattamente.
Recentemente è stato sostenuto che da
essa avrebbe tratto spunto lo scultore Filippo Quattrocchi (1738-1813), già collaboratore del D’Anna, per realizzare il gruppo ligneo che adorna l’altare
maggiore della chiesa di S. Cataldo a Gangi[5] (fig.
1).
fig. 1 – Filippo
Quattrocchi, Madonna degli Agonizzanti,
Ganci, chiesa di S. Cataldo (da
http://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Quattrocchi).
L'opera in questione
mostra la Madonna col bambino Gesù in braccio assisa su una nuvola retta da
cherubini che assiste un agonizzante disteso su un letto e attorniato da un
religioso che lo conforta e da un angelo che gli indica la sacra visione. Non
sembra però corrispondere puntualmente alla descrizione del Vigo.
Due fogli conservati nel gabinetto
dei disegni della Galleria Regionale della Sicilia Palazzo Abatellis, e facenti
entrambi parte della
collezione Sgadari di Lo Monaco, hanno fatto supporre alla Siracusano che fossero preparatori per la
dispersa tela di Acireale[6].
È stata Mariny Guttilla[7] per
prima a riconoscere che in realtà uno dei due disegni (fig. 2) è relativo ad un
dipinto attualmente presso il palazzo arcivescovile di Monreale e proveniente
dalla chiesa di Santa Maria degli Agonizzanti di quella stessa città (fig. 3).
fig. 2 – Vito D’Anna,
Madonna degli Agonizzanti o Moribondo, disegno, Palermo, Galleria
Regionale della Sicilia (da La Monica 2012).
fig.
3 – Vito D’Anna (bottega ?), Madonna degli
Agonizzanti, Monreale (da Cuccia 2006).
Se la Guttilla attribuisce al D’Anna
l’esecuzione del disegno collocandolo nella fase tarda dell’attività artistica
del maestro, attorno agli anni ’60 del Settecento, assegna invece, in accordo
con Giulia Davì[8],
l’esecuzione del quadro ad uno stretto collaboratore del pittore, forse uno dei
fratelli Manno[9].
In ogni caso l’iconografia di questo
dipinto sembra discostarsi notevolmente sia dalla descrizione del Vigo sia da
quella del citato gruppo scultoreo del Quattrocchi.
Il secondo foglio (fig. 4) recante un’attribuzione ad uno “scolaro
di Vito D’Anna”[10], è stato invece messo in relazione per
la prima volta da Antonio Cuccia[11] con un
dipinto raffigurante la Madonna degli Agonizzanti (fig. 5) conservato a Ventimiglia di Sicilia, che
lo studioso attribuisce senza appigli documentari ma solo su base stilistica e
sulla scorta proprio di questo disegno a Vito D’Anna.
Fig. 4 - Olivio
Sozzi (qui. attr.), Madonna degli
Agonizzanti, disegno, (da Lo Monaco 1940).
In questo modo egli ritiene di aver
chiuso il “caso” Vito D’Anna-Madonna degli Agonizzanti, quantomeno nella parte
relativa ai due fogli di Palazzo Abatellis. Il dipinto di Acirelae rimane al momento sempre latitante.
Fig. 5 – Olivio Sozzi (qui. attr.), Madonna degli Agonizzanti, tela,
Ventimiglia di Sicilia, chiesa Madre (da Cuccia 2006).
Il quadro ventimigliano ed il relativo disegno,
effettivamente, sembrano corrispondere maggiormente alla scultura di Gangi ma
meno alla descrizione del Vigo. Si può notare infatti la presenza del frate in
basso a conforto dell’agonizzante e dell’arcangelo Gabriele che però non indica
palesemente la Madonna.
Abbastanza concorde con
l’attribuzione a Vito D’Anna di questa tela è la studiosa Ilaria
Guccione, che tuttavia la ritiene opera a due mani con interventi di Olivio
Sozzi nel registro superiore[12].
Recentemente ho avuto l’opportunità di occuparmi
della chiesa degli Agonizzanti in Castelvetrano, e in questa occasione ho avuto
modo di visionare alcune foto scattate negli anni ’80 del Novecento contenute
in un album fotografico relativo ai beni artistici di questa cittadina, curato
dallo storico locale dott. Aurelio Giardina[13].
Con stupore mi sono accorto della quasi identicità
di soggetto tra la citata tela di Ventimiglia e il quadro che stava sull'altare
maggiore di questa chiesa castelvetranese (fig. 6) e purtroppo rubato nel 1979.
Fig. 6 – Olivio Sozzi
(qui attr.) - Maria S.S. degli Agonizzanti,
Castelvetrano, Chiesa degli Agonizzanti, foto di Aurelio Giardina, anni ’80, con
la tela rubata nel 1979 ancora in situ.
Dalle brevi note storico-artistiche relative all’edificio[14]
si apprende che questo dipinto è stato trafugato in quell’anno assieme ad altri
quattro di cui, tranne per uno, ignoriamo il soggetto.
Infatti da una descrizione manoscritta della
città di Castelvetrano ad opera di Giovan Battista Noto, Platea
della Palmosa Città di Castelvetrano, datata 1732, siamo informati che sul’altare maggiore di questa chiesa
vi era “Un quadro grande di bellissima pittura
coll’Immagine della Madre Santissima che assiste al conforto d’un agonizante”,
mentre nell’altare di destra vi era un “…quadro
della Madre di Dio delli sette dolori”, probabilmente una Addolorata[15].
All’epoca di questa descrizione
dunque in questa chiesa esistevano solo due dipinti. L’autore non cita il nome
del pittore ma dalla descrizione è chiaro che il soggetto del quadro posto sull’altare
maggiore è identico a quello della foto d’epoca.
D’altro canto è sempre il Noto a riferirci
che anticamente sul medesimo altare vi era un altro dipinto raffigurante Santi ed anime purganti: “… volse trasferire il quadro, ch’era in
detta chiesa antica del’agonizanti ov’erano depinti alcuni Santi coll’anime
purganti imploranti il lor suffragio lo trasferì insieme colla statua di S.
Sebastiano ch’era titolo della chiesa dell’Agonizanti”[16], e che
Il nuovo quadro con la Madonna degli
Agonizzanti veniva così a sostituire il precedente, che veniva posto
sull’altare principale della chiesa del Purgatorio: “In tal capellone, e sovra detto Altare vi è un quadro già cennato con
pittura rappresentante molti Santi, sotto i quali compariscono anime Sante
imploranti il lor suffragio”[17].
Grazie alla ricordata fotografia in bianco e
nero, unico documento visivo superstite, possiamo collegare la tela rubata al
disegno della Galleria Regionale della Sicilia citato dal Cuccia, che proprio
del quadro castelvetranese riprende esattamente ogni minimo dettaglio.
Anzi, rispetto all’altra tela di Ventimiglia le
corrispondenze sono più puntuali: il religioso in primo piano a sinistra (forse
un benedettino[18]) in
questo quadro ha i capelli e non ha la barba e regge un libro, mentre in quello
di Ventimiglia ha la barba e la tonsura e regge in mano un libro ed un aspersorio
(forse un cappuccino); l’angelo alla sinistra del moribondo ha le ali a riposo
rispetto a quelle dell’altro angelo nell’altro dipinto; infine, il bambino Gesù
ha il braccio desto abbassato rispetto alla posizione che tiene nell’altra tela
dove il braccio è rivolto verso l’alto.
La testimonianza documentaria del manoscritto del
Noto del 1732 si configura dunque come termine ante quem per il dipinto di Castelvetrano e la tela a mio avviso va
assegnata non a Vito D’Anna bensì a Olivio Sozzi.
A quella data infatti il D’Anna avrebbe avuto
circa quattordici anni, un po’ pochi per una committenza del genere e non era
ancora entrato in contatto col Sozzi.
Di conseguenza ritengo che anche il disegno della
Galleria Regionale della Sicilia debba essere restituito a quest’ultimo.
La qualità elevata di questo foglio “a penna,
inchiostro bruno, acquerellato in grigio e rialzato a biacca e gesso rosa”, dalla
“maggiore sicurezza di tratto e più raffinate qualità pittoriche” che lo aveva
fatto assegnare da Maria Genova a Vito D’Anna[19],
in accordo con la Di Equila che lo aveva pubblicato nel 1940, deve essere
restituito a mio avviso al pittore catanese[20].
La presenza della quadrettatura lo definisce
infine come disegno preparatorio, molto probabilmente proprio per questo
dipinto che, in ogni caso è, a tutti gli effetti, una replica della tela
ventimigliana.
Anche il quadro di Castelvetrano si discosta
dalla descrizione del Vigo della tela attualmente irreperibile di Vito D’Anna,
il che mi porta ad ipotizzare che in realtà l’opera dipinta da quest’ultimo
abbia un iconografia differente da quella che io ritengo più plausibilmente
un’idea del suocero Olivio Sozzi, e che probabilmente è esemplata su altri
modelli. Il “caso” quindi è ancora aperto.
Per ritornare sulla tela di Ventimiglia di
Sicilia e sulla sua somiglianza con quella di Castelvetrano, vorrei evidenziare
che questo paese della provincia di Palermo trae il suo nome da Beatrice
Ventimiglia che lo fondò nel 1625. Costei era figlia di Giovanni III Ventimiglia
marchese di Geraci e Donna Anna Aragona Tagliavia, a sua volta la figlia di Don
Carlo d’Aragona, primo Principe di Castelvetrano (1549-1592)[21].
Il legame di parentela strettissimo con i
discendenti di Beatrice spiega il perché delle due tele simili in due centri
distanti geograficamente: il Sozzi l’aveva forse replicata per due esponenti
dello stesso ramo dell’illustre famiglia ed entrambe si conservano in due
chiese-oratori settecenteschi legati alla Madonna degli Agonizzanti. Ritengo pertanto
di concedere ad Olivio Sozzi anche la paternità della tela di Ventimiglia.
La chiesa degli Agonizzanti di
Castelvetrano è un edificio dalle dimensioni modeste. Oggi è chiuso al culto e
si trova in precarie condizioni, sia per la forte umidità, che ha compromesso
parte degli affreschi realizzati sulle pareti, in particolare quelli vicino
all’abside e nella parte dell’altare di sinistra - sia per problemi di staticità
delle parti in stucco che rivestono le pareti e le volte. È usato
momentaneamente come deposito di banchi e arredi liturgici, e presenta gli
altari disadorni.
Come ho detto poc’anzi, originariamente
era dedicata a S. Sebastiano fino al 1644, quando cambiò nome[22].
Attestata già dal 1516, forse era stata voluta da don Diego d’Aragona. Fu
restaurata ed ornata nella seconda metà del Seicento, il che spiega certe
soluzioni ancora attardate rispetto alla decorazione pittorica tardo-settecentesca.
Era patronato di questa illustre famiglia
che con i loro discendenti tanto lustro hanno dato all’isola e in altre parti
d’Italia.
Fu probabilmente Don Diego Aragona
Pignatelli Cortes Pimentel e Mendoza, principe di Castelvetrano dal 1724 al
1750, il committente di questa tela, lo stesso personaggio che si era fatto
ritrarre da Francesco Solimena (fig. 7)[23].
Fig. 7 - Francesco Solimena, Ritratto di Don Diego d’Aragona Pignatelli, olio su tela, asta
Sotheby’s Milano 2009 (immagine tratta
da http://www.luxgallery.it/foto/aste-da-luca-giordano-a-gio-ponti/sothebyssolimena.php).
L’apice di questa dinastia era stato
raggiunto nel ‘500 col citato Don Carlo primo Principe di Castelvetrano, il Magnus
Siculus ricordato dal Manzoni quale governatore dello Stato di Milano nel
1582.
Gli Aragona-Tagliavia possedevano già
dal ‘500 un palazzo a Palermo che ne tempo si è ingrandito finendo per
inglobarne un’altro. Poco nulla sappiamo dell’interno di questa enorme dimora
nel Settecento che probabilmente, come altre in quell’epoca, avrà avuto
ambienti sontuosi e ricchi di decorazioni di vario genere realizzati da celebri
artisti[24].
Verso gli ani 30’ del Settecento il
pittore Olivio Sozzi era senza dubbio uno dei nomi di maggior spicco sulla
piazza palermitana. Non sappiamo al momento se proprio al Sozzi Don Diego si sia rivolto per decorare alcuni ambienti
del proprio palazzo ma possiamo ipotizzare con molta probabilità che al medesimo
pittore dovette chiedere di dipingere un quadro per la chiesa del Purgatorio a
Castelvetrano, altro edificio ecclesiastico del quale la sua famiglia deteneva
il patronato[25].
Fig. 8 - Olivio Sozzi, La Trinità,
la Madonna e le anime del Purgatorio, olio su tela, Castelvetrano, chiesa
Madre, già Castelvetrano, chiesa del Purgatorio (foto S. Alcamo).
Infatti un tal “Vincenzo” Sozzi - evidentemente
si tratta di una svista contenuta nella trascrizione del documento - nel 1746 fu
pagato per aver dipinto la pala d’altare per la chiesa del Purgatorio (fig. 8)[26].
Questa chiesa “era stata voluta intorno al 1642
dal Principe Don Diego. L’interno è a tre navate, divise da colonne, riccamente
adornato con stucchi e affreschi; il cappellone fu completamente rifatto nel
1746 ad opera dei fratelli Nicolò e Gaspare Curti”[27].
Su Olivio Sozzi manca a tutt’oggi una
monografia esaustiva. Dopo il successo degli anni ’30 e ‘40 del Settecento, gli
anni ’50 sono caratterizzati dall’ascesa di Vito D’Anna e dal lento e
inesorabile declino della propria carriera ripiegata sulle orme del genero.
Questa situazione lo ha lentamente declassato e ha fatto perdere interesse
verso la sua produzione[28].
Molti momenti della sua attività
restano ignoti, come per il D’Anna, e molti dubbi permangono su diversi aspetti
della sua attività artistica giovanile.
Forse qualche elemento in più per
arricchire le nostre conoscenze sull’artista potrebbe venire proprio dalla apparentemente
decentrata città di Castelvetrano, oggi grosso centro agricolo ma in realtà patria
di una delle più illustri famigli aristocratiche siciliane. Regnanti illuminati
furono committenti d’arte per oltre tre secoli.
Nel 1700, trasferitisi a Palermo e
Napoli i diversi Principi, divenuti per discendenza Aragona Pignatelli, diedero
una svolta artistica in chiave settecentesca alla propria città d’origine,
ancora adagiata sui gloriosi fasti cinquecenteschi, avviando diversi cantieri e
cicli decorativi ad affresco.
Poco o nulla al momento si sa di
questo fervore artistico settecentesco ed è imperativo che gli studi futuri
dovranno indagare meglio questo aspetto che coinvolge non solo la città di
Castelvetrano ma soprattutto la capitale del Regno di Sicilia, dove la
committenza Pignatelli in questo secolo è ancora tutta da approfondire.
È dunque probabile che il pittore avesse lavorato
per Don Diego, successore di Don Carlo, già nei primi anni ’30 del Settecento. La
tela di Castelvetrano, a giudicare dall’immagine fotografica, presenta, infatti,
tutte le caratteristiche della maniera ancora conchiana del Sozzi.
L’intervento di quest’ultimo forse è da estendere
anche alla decorazione pittorica della chiesa del Purgatorio per la quale, come
ho detto precedentemente, aveva dipinto nel 1746 la tela per l’altare maggiore.
Avendo avuto l’occasione di vedere l’edificio,
oggi in un pessimo stato di conservazione, ho notato che doveva presentare una
decorazione molto estesa che si sviluppava nelle cappelle laterali con
affreschi di modeste dimensioni riproducenti diverse figure di santi, purtroppo
oggi molto rovinati e in molti casi illeggibili, quando non addirittura
ridipinti in epoche più recenti.
Le figure ancora superstiti (figg. 9-10) ricordano
le tipologie del Sozzi e seppur in assenza di documenti possiamo ipotizzare un
cantiere decorativo realizzato dalla sua bottega.
È plausibile infatti che l’intervento del
maestro, probabilmente successivo all’invio della citata tela, non sia stato
diretto e che le opere siano state realizzate da parte della sua bottega sui
cartoni preparati da quest’ultimo[29].
Figg. 9-10 - Olivio Sozzi
(bottega?), affreschi, 1746-47 ca., Castelvetrano, chiesa del Purgatorio (foto S. Alcamo).
È anche ipotizzabile che all’impresa abbiano
partecipato diversi aiuti e tra questi probabilmente il figlio Francesco, la
cui prima attività, legata senza dubbio al padre, ci appare ancora del tutto sconosciuta[30].
Ed è anche probabile che tra gli aiuti ci fosse proprio il giovane Vito D’Anna che
a quell’epoca era già genero del Sozzi[31]
ed aveva affrescato già palazzo Pietraperzia, ossia Branciforti, come sostiene
Sgadari di Lo Monaco[32],
affreschi con i quali, dopo il ritorno a Palermo dal lungo periodo di
formazione acese alla scuola del Vasta, si era messo in luce nell’ambiente
palermitano.
Don Salvatore Branciforti, principe di Butera e
di Pietraperzia aveva sposato Maria Anna
Pignatelli Tagliavia Aragona Cortes, discendente dai principi di Castelvetrano[33].
L’intervento decorativo del D’Anna per il
Branciforti potrebbe essere legato in qualche modo a questa città ed ai suoi
Signori.
In ogni caso la datazione più
plausibile per gli affreschi della chiesa del Purgatorio dovrebbe cadere
attorno agli anni 1746-47.
Se infatti i decoratori Curti hanno
preparato le cornici in stucco nel ’46[34] è
probabile che la decorazione pittorica sia stata immediatamente successiva.
Mi auguro che nuove e più
approfondite ricerche d’archivio possano gettare luce sugli Aragona Pignatelli Principi
di Castelvatrano, figure poco note di committenti, specialmente per il XVIII
secolo, e su tali opere quasi del tutto inedite.
[1] Su
questa iconografia vedi: V. Abbate, scheda II,7., in Le confraternite dell’arcidiocesi di Palermo, Storia e Arte,
Palermo 1993, a cura di M. C. Di Natale, p. 148-149. Cfr. A. Cuccia, Un inedito dipinto di Vito D’Anna a
Ventimiglia di Sicilia, in “Kalòs”,
2006, anno XVIII, n. 3, lug-ago-set, pp. 44-45.
[2] Su Vito
D’Anna si vedano: M. G. Paolini, D’Anna
Vito, ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani,
con bibliografia fino al 1985; C. Siracusano, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma 1986, pp. 270-281; I. Guccione, Vito D'Anna
(1718-1769): identità di un artista, Università degli studi di Palermo, Facoltà di lettere e
filosofia, Dottorato di ricerca in storia dell'arte medievale, moderna
e contemporanea in Sicilia, 18. Ciclo, tutor Diana Malignaggi; coordinatore
Maria Concetta Di Natale, Anno accademico 2006/2007, con
bibliografia. Da ultimo: M. La Monica, Vito
D’Anna pittore rococò tra sacro e profano, Palermo 2012.
[3] L. Vigo,
Memorie di P. Paolo Vasta, pittore di
Acireale, Palermo 1826, p. 61. Cfr. M. Guttilla, Vito D’Anna esordi e presentimenti, Palermo 2005, p. 5.
[4] C. Siracusano,
La pittura del Settecento in Sicilia,
Roma 1986, p. 273, nota 1.
[5] Filippo Quattrocchi, Gangitanus
sculptor: il senso Barocco del movimento, a cura di Salvatore Farinella,
Palermo 2004. Su Filippo Quattrocchi vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Quattrocchi
[6] Siracusano
1986, op. cit.. Su i disegni vedi P.
Sgadari di Lo Monaco, Pittori e scultori siciliani dal Seicento al primo Ottocento, Palermo 1940,
tavv. XXXVIII e XL.
[7] Il
disegno relativo al dipinto di Monreale è stato pubblicato in Sgadari di Lo
Monaco 1940, op. cit., tav. XXXVII;
M. Guttilla, Vito
D’Anna esordi e presentimenti, Palermo
2005, pp. 5-6, fig. 1. Cfr. M. La Monica, Vito D’Anna pittore rococò tra sacro e profano,
Palermo 2012, p. 34, fig. 2.
[8] G. Davì,
scheda I, 19 in Gloria Patri. L’arte come
linguaggio del sacro, a cura di G. Mendola, Palermo 2001.
[9] Il dipinto
è stato pubblicato in Guttilla, Vito D’Anna 2005, op. cit., pp. 5-6, fig. 2. Eadem, Mirabile artificio. Percorsi d’arte figurativa dal XV al XIX secolo nel
territorio dell’Alto Belice Corleonese, scheda I.18, Palermo 2005, p. 126. Cfr.
Cuccia 2006, op.
cit., p. 45, fig. 2.
[10] Sul disegno,
oggi alla Galleria Regionale della Sicilia e proveniente dalla collezione di
Agostino Gallo, vedi: G. Di Equila, Vito D’Anna (1710-1769). La vita e l’arte, Firenze 1940, p. 18; Sgadari di Lo
Monaco, op. cit., tav. XL; Siracusano 1986, p. 274, Tav. L, fig. 2; M.
Genova, scheda presso Archivio fotografico del Gabinetto disegni e stampe della
Galleria Regionale della Sicilia, 22 nov. 1989; Guttilla, Vito D’Anna…
2005, pp. 13-15; cfr. La Monica 2012, p. 6.
[11] Cuccia 2006, op. cit.,
pp. 44-45. La tela si trova nella quinta cappella della navata destra della
chiesa Madre. Un altro dipinto abbastanza simile che si trova sempre a
Ventimiglia nella confraternita di Maria S.S. degli Agonizzanti è stato
ricondotto all’ambito della bottega del Sozzi da I. Bruno, scheda II, 21, in Le confraternite….1993, op., cit., p. 158-159.
[12] Guccione 2006/2007, op. cit., p. 116.La studiosa cita erroneamente l’articolo di
Antonio Cuccia su Kalòs come di Bonaccorsi.
[13] Castelvetrano Immagini, a cura di A.
Giardina, s.d. ma 1981, 18 voll, Presso Biblioteca Comunale “L. Centonze” di
Castelvetrano.
[14] Ibidem, vol V..
[15] Giovan Battista Noto, Platea della Palmosa Città di Castelvetrano, ms., 1732, presso
Biblioteca Comunale “L. Centonze” di Castelvetrano, c. 236. Il Noto era
Canonico e tesoriere della collegiata di S. Pietro e segreto (fidato) di Sua
Eccellenza il Principe di Castelvetrano. La trascrizione dell’intero
manoscritto è contenuta in R. Cancila, Gli
occhi del principe. Castelvetrano: uno stato feudale nella Sicilia moderna,
Roma 2007.
[16] Noto
1732, op. cit.
[17] ibidem. Cfr. Giardina 1981, cit..
[18] L’iconografia
dell’intera decorazione ad affresco dell’edificio, soprattutto quella della
volta, lascia intendere che il programma sia stato dettato da un qualche
esponente dell’ordine benedettino.
[19] Maria
Genova 1989, scheda, cit..
[20] Di
Equila 1940, op. cit., p. 18. Sull’attività
grafica di Olivio Sozzi vedi: M. Genova, I disegni di Olivio e Francesco Sozzi presso
la Galleria regionale di
Palermo, in Le
arti in Sicilia nel Settecento. Studi in memoria di Maria Accascina,
Palermo 1985, pp. 427-441.
[21] Su Carlo
d’Aragona vedi: A. Giardina, V. Napoli, Carlo
d’Aragona e le “travi” dipinte della Chiesa Madre. Araldica, storia e arte ai
Castelvetrano tra XV e XVII secolo, Castelvetrano 2002.
[22] Noto
1732, op. cit., cfr. nota 6. «Il
successivo titolo è dovuto al fatto che in questa chiesa venivano confortati ad
opera della compagnia dei Bianchi i rei condannati a morte», Castelvetrano Selinunte. Un viaggio che
chiede ritorno..., a cura di F. S. Calcara, N. Centonze, Campobello di Mazara
2010, p.
16.
[23] La tela è passata recentemente sul mercato antiquario. «MI0305»,
Old Master Paintings, 19th C Paintings, Furniture and Works of Art, Sotheby’s Milano,
Tuesday, December 15, 2009. Lot 29, ” Ritratto di Diego
d’Aragona Pignatelli”, olio su tela. il
bozzetto relativo si conserva al Metropolitan Museum di New York. Vedi: sito
web della Fototeca Fondazione Zeri, Bologna.
[24] Giardina,
Napoli 2002, op. cit., pp. 30-31;
125.
[25] Noto
1732, op. cit..
[26] “13 luglio 1746
onze 15 e tarì 9 pagati a Vincenzo Sozzi, pittore di Palermo, per fattura del
quadro grande del Purgatorio sopra l’altare maggiore, inclusi tarì 5 per prezzo
di una cassetta in cui fu portato detto quadro e tarì 4 per la portatura da
Palermo”, D. Malignaggi, in X Mostra di opere
d'arte restaurate, a cura di Vincenzo
Abbate, nota introduttiva di Vincenzo Scuderi, Palermo 1977, pp. Tav. XCI, pp.
125-127, scheda 23 e p. 126, nota 3. cfr. C. Siracusano 1986, op. cit., pp. 222-223. L’opera si trova attualmente esposta sulla
parete destra della chiesa Madre. Cfr. G.
Bongiovanni, Pittura a
Castelvetrano, in Rivalutare un
patrimonio d’arte, itinerari della memoria tra fede e cultura
per riacquisire il passato e non perdere il futuro, 26 aprile-26 giugno
1998, Chiesa madre di Castelvetrano, a cura di A. Costanza,
Palermo 1998.
[27] Castelvetrano Selinunte. Un viaggio che
chiede ritorno..., 2010, op. cit., p. 15.
[28] Su
Olivio Sozzi vedi: L. Sarullo, Dizionario
degli artisti siciliani. II. Pittura, a cura di A.M. Spadaro, Palermo 1993,
ad vocem, con bibliografia.
[29] Dalla
nota di pagamento della citata pala sappiamo che questa era stata portata in
una cassa da Palermo, Malignaggi 1977, op.
cit..
[30] Su
Francesco Sozzi vedi: Sarullo 1993, op.
cit., ad vocem.
[31] L’atto
di matrimonio è stato siglato il 24 febbraio 1745. A. Giuliana Alajmo, Vito
d'Anna: Il più grande affreschista Siciliano del '700 e le sconosciute Sue
opere in s. Antonio abate in Palermo. 12 documenti inediti, Palermo 1954, p. 8. Cfr. G.
Mendola, Sei matrimoni e … un testamento.
Inediti per la biografia di alcuni pittori del Settecento palermitano, in Il Settecento ritrovato a Palazzo Santelia,
catalogo della mostra a cura di G. Davì et
alii, Provincia Regionale di Palermo, Palermo 2008, p. 27.
[32] Su
questi affreschi oggi scomparsi vedi: Lo Monaco 1940, op. cit., p. 39.
[33]
Giardina, Napoli 2002, op. cit.,
tavola genealogica fuori testo.
[34] A. G.
Marchese, I Ferraro da giuliana, 3. Antonino
junior, Palermo 1984, p. 46.
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