di Sergio Alcamo.
Placido Romolo (o
Romoli) è uno di quei numerosi pittori siciliani del XVIII secolo sui quali
possediamo pochissime informazioni, e non solo perché si tratta probabilmente di
una personalità “minore” ma perché in questo caso specifico i due terremoti che
hanno colpito Messina – quello del 1783 e quello del 1908 – hanno distrutto
gran parte delle testimonianze documentarie dirette e indirette non solo su
questo pittore ma su molta parte della cultura figurativa e dei protagonisti di
questa martoriata città siciliana[1].
Merita pertanto una
qualche attenzione da parte mia che cerco con questo Blog di gettare luce su personalità artistiche poco conosciute.
Per ovvi motivi
(abito a Torino!) non potendo effettuare indagini d’archivio mi limiterò in
questa sede a compiere solamente una panoramica su quello che conosco di edito
su questo pittore e sulle scarse ma interessanti notizie che è possibile
trovare in Internet.
Mancando una monografia
esaustiva su questo personaggio ho pensato di riportare tutte le testimonianze
reperibili, che come spesso accade, sono frammentarie: capita infatti che uno
stesso argomento venga trattato da diversi studiosi ma le notizie pubblicate quasi
sempre sono ignote tra gli uni e gli altri.
Proverò quindi ad
incrociare questi diversi contributi per vedere se è possibile ricreare un
profilo biografico abbastanza verosimile di questo artista.
L’approccio
obbligato per chiunque voglia avere un riscontro immediato su un pittore del
Settecento siciliano è l’indispensabile volume di Citti Siracusano del 1986[2].
La studiosa, che faceva
notare la scarsità di notizie sull’artista, ne menzionava i natali messinesi, riportandone
la presunta data di nascita e di morte (1690-1734), il soggiorno romano, la
partecipazione nel 1713 al concorso Clementino dell’Accademia di S. Luca con il
disegno a matita della Statua di Santa
Martina e del suo altare della chiesa eponima di Roma e un intervento
pittorico nella chiesa dei S.S. Sebastiano e Valentino, sempre nella capitale, senza
fornire però alcun riscontro fotografico. Infine riportava la scarsa
bibliografia[3].
Nel dizionario del
Sarullo sugli artisti siciliani del 1993[4]
sono riportate integralmente le informazioni della Siracusano sul “Romoli “con
la precisazione che questi doveva essersi trasferito a Roma già agli inizi del
secondo decennio del Settecento. Nel 1713 vinceva, infatti, il secondo premio
al concorso Clementino dell’Accademia di S. Luca con il citato disegno a matita
della statua di Santa Martina.
Viene anche riportata
la testimonianza di Agostino Gallo[5]
secondo la quale il “Romoli” nel 1739 avrebbe inciso due opere di Placido
Campolo[6]
messinese: il disegno con la Madonna della
lettera e San Paolo, e il dipinto della cripta del Duomo di Messina con la Madonna della lettera.
La descrizione del
Gallo sulla prima di queste incisioni recita: “…una Madonna della lettera fra
una turba di angioletti, sotto San Paolo, e Messina, genuflessi”[7]. Potrebbe trattarsi della stampa (fig. 1)
che ho trovato in un sito on line [8].
Fig. 1 - Madonna della
lettera, San Paolo, e allegoria di Messina,
stampa, XVIII sec.? (da http://www.madonnadellalettera.it/il-culto-a-messina.html)
A causa della
qualità non alta della risoluzione dell’immagine non si riesce a vedere se c’è
il nome dell’incisore o del’inventore.
Una stampa simile ma
forse precedente si ritrova in un altro sito on line[9]
(fig. 2).
Fig. 2 - anonimo, Madonna della lettera, San Paolo, e allegoria di Messina, stampa,
XVII sec.? (da http://www.reginamundi.info/icone/lettera.asp)
Uno dei contributi
più recenti di mia conoscenza è quello del 2003 della studiosa palermitana Ilaria
Guccione[10]
che, oltre a pubblicare l’immagine del disegno con Il sepolcro di Santa Martina (fig. 3)[11]
nella cui iscrizione il pittore è indicato come “Placido Romolo messinese”, aggiornava alcuni errori relativi ai
dati riferiti fino ad allora all’artista.
In particolare distingueva
due personalità artistiche distinte, quella del meno noto Placido Romolo,
appunto, da quella del poco più conosciuto Placido Campolo, già citato, entrambi
messinesi e in qualche modo confusi e sovrapposti dal sunnominato Gallo in
relazione all’incisione già citata della Madonna
della lettera datata da quest’ultimo al 1739. Poi faceva notare che proprio
la datazione di questa incisione contrasta con la data di morte indicata al
1732. Infine riferiva che il Romolo risultava presente alla Congregazione de’
Virtuosi del Pantheon tra il 1722 e il 1724[12].
Fig. 3 - Placido
Romolo, Il sepolcro di Santa Martina,
disegno, matita nera e gessetto su carta marrone, Roma, Accademia Nazionale di
S. Luca (da Guccione 2003).
Con il contributo
della Guccione si conclude la parte edita che a mia conoscenza riguarda il
Romolo.
Riassumendo possiamo
affermare che questo artista messinese si era dedicato alla pittura (in
particolare ad affresco) e all’incisione.
Cercando di
approfondire questi aspetti già qualche anno fa avevo fatto qualche ricerca on line, e nel sito Messinaweb.eu avevo trovato questo articolo di Aurora Smeriglio che
riporto integralmente di seguito: Placido Romoli da Messina – Un’artista
dimenticato e forse mai conosciuto,
“Placido Romoli messinese (1690-1750)
giunge a Roma da Messina, e svolge la sua attività presso la bottega
dell’Architetto Carlo Fontana. Come compagni troverà Filippo Juvarra e Pietro Passalacqua
anch’essi messinesi. Nel 1722 è ammesso alla Congregazione de’ Virtuosi del
Pantheon, insieme all’architetto-incisore Filippo Vasconi ed accolto,
indiscusso, alla corte del Papa Clemente Ottavo. Affresca la volta della Chiesa
di San Sebastiano all’Olmo in Roma, ma si è appurato che nonostante quella
Chiesa sia stata parzialmente abbattuta, i suoi affreschi siano stati salvati.
Con altissima probabilità inseriti in un contenitore museale o all’interno di
un antichissimo palazzo di Roma ancora esistente. Queste sono alcune delle
tracce che ci riportano alla grandezza di questo artista. Molto altro è al
vaglio e allo studio di questo grande personaggio che ci ha regalato
un’importante eredità: un altro tassello della storia messinese che non deve
assolutamente essere dispersa”[13].
Continuando le ricerche
su Placido Romolo in Internet ho
trovato quest’altra informazione interessante.
In un manoscritto della prima metà del XVIII (ca.
1730-1741), del fiorentino Francesco Maria Niccolò Gabburri (1675-1742) si parla di “Placido, del Casato, Romolo messinese, pittore a olio e più a pastelli;
specialmente nei ritratti fa spiccare il suo gran talento alla corte del re
Carlo di Napoli in età di anni 50, nel 1740, dove vive provvisionato. Per la
sua bravura nei ritratti fu onorato della Croce del Sangue di Cristo
dall'ambasciadore di Portogallo in Roma”[14].
Non sappiamo dove il Gabburri, autore delle Vite dei pittori ha attinto queste
informazioni e/o se ha conosciuto personalmente l’artista[15]. Se
queste brevi note biografiche fossero vere ci confermerebbero innanzitutto il
cognome Romolo e non Romoli, la data di nascita al 1690, e che era in vita
almeno fino al 1740.
Tuttavia, visto che l’unico elemento
biografico sicuro al momento è la partecipazione e la relativa vittoria nel
1713 al Concorso Clementino, stando al Gabburri a quella data il pittore avrebbe
avuto solo 13 anni. Il che mi sembra poco probabile. È verosimile allora che
il Romolo sia nato prima del 1690.
Per quanto riguarda il cognome viene aggiunto
quel “del Casato” che non mi spiego cosa possa significare: un doppio cognome o
più comprensibilmente “del casato dei Romoli” (e dunque Romoli doveva essere il
cognome che indicava una famiglia di nobili origini?).
Visto che sulla data di morte per ora non
abbiamo notizie certe, sulla scorta del Gaburri possiamo supporre che il pittore
abbia concluso i suoi giorni a Napoli, seguendo così il destino di altri artisti isolani, come Giuseppe Porcello (1682-1734) suo
conterraneo[16].
Possiamo almeno aggiungere un elemento nuovo ossia che il Romolo si
dedicava anche ai ritratti e soprattutto era uno specialista nella tecnica del
pastello[17]. Ma al momento, che io sappia,
nessun’opera di questo genere è stata rintracciata.
Per quanto riguarda l’attribuzione degli affreschi della chiesa di S.
Sebastiano in Roma, di cui invece il Gabburri non fa menzione, al momento la
testimonianza bibliografica più antica sembra essere questo passo tratto dal
volume edito dal Roisecco nel 1750: “...e tutte le Pitture nel soffitto sono di
D. Placido Romoli Messinese”[18].
Su cosa raffigurassero tali affreschi la
risposta ci viene da un testo di Jeremiah Donovan del 1844 nel quale l’autore descrive proprio queste
opere: “The first painting on the
cieling, next the great altar, is S. Sebastian attended by S Irene; the second,
SS Valentine and Sebastian in glory; and the third, the martyrdom of S.
Valentine, all by Placido Romoli by Messina”[19].
Dunque questi dipinti raffiguravano S. Sebastiano curato da S. Irene, Gloria di S. Sebastiano e S. Valentino, Martirio di S. Valentino.
Mentre mi sembra interessante quest’altra descrizione,
tratta da una guida di Roma del 1869, che specifica meglio il contesto in cui
erano inseriti i citati affreschi: “Vicina
resta la Chiesina di S. Sebastiano all'Olmo, così chiamata da un olmo che qui
verdeggiava, il quale nel 1682 fu tagliato ad istanza dei vicini abitanti.
Questa chiesina fin'ora ha facciata su la piazza Paganica, così denominata dal
palazzo già dei duchi Paganica, ed ora Mattei a suo luogo indicato. Presto però
verrà demolita per la metà per ingrandire il palazzo Guglielmi, e così la
facciata verrà voltata dal lato opposto. Il quadro di s. Sebastiano sull'altar
maggiore si colorì dal cav. d' Arpino. Il s. Valentino che rimarrà nell'altare
a sinistra è di un suo scolare. Le pitture che si leveranno dal
soffitto sono di Placido Romoli.
Il palazzo Moroni, ora Guglielmi, contiene molte lapidi ed altre cose antiche”[20].
Quindi fino al 1869
circa le pitture erano ancora al loro posto. Forse furono tolte attorno al 1870/80.
Infatti nella seconda edizione del volume di Mariano Armellini del 1891 (la
prima edizione forse è del 1887) si dice che “Fu demolita questa
chiesa sotto gli occhi nostri, per la fabbrica del palazzo Guglielmi piazza
Paganica”[21].
Dubbia rimaneva
finora la collocazione originaria della chiesa. Grazie alla pianta di Roma di Giovanni
Battista Nolli (1692-1756), la Nuova Topografia di Roma, ultimata nel 1748
con le incisioni dello stesso Nolli e la collaborazione di Giovan Battista
Piranesi e del siciliano Giuseppe Vasi da Corleone (1710-1782)[22],
possiamo ora facilmente individuare l’edificio, indicato nelle didascalie col
titolo di S. Sebastiano de’ Mercanti, posto nella Piazza Paganica, nel rione
11, S. Angelo, e contrassegnato nella pianta dal numero 1009 (figg. 4-5).
Fig. 4 - Giovanni Battista Nolli (1692-1756), Nuova Topografia di Roma, 1748, incisione (part.). (Si vede il rione con la chiesa del Gesù in
alto a sinistra).
Fig. 5 - Giovanni Battista Nolli (1692-1756), Nuova Topografia di Roma, 1748, incisione (part.). (la chiesa di S. Sebastiano è al centro esatto
dell’immagine, l’edificio isolato all’interno della piccola piazza).
In un sito on line sulle chiese di Roma[23]
viene ricostruita la storia di questo edificio sacro. Apprendiamo, per esempio,
che è stato ristrutturato nel primo ‘700 dall’architetto Francesco Felice
Pozzoli. Ne viene descritta la struttura: non c'era una facciata vera e
propria, in quanto la chiesa era inserita in un più grande edificio che occupava
un intero blocco. Invece c'era una porta che conduceva in un breve corridoio
che immetteva nella chiesa che aveva un orientamento est-ovest. Questa era costituita
da un semplice rettangolo di quattro campate separate da pilastri di sostegno
della volta del soffitto.
Nel
sito, dove viene evidenziata la confusione generata dalla vecchie guide tra i palazzi che l’avrebbero
inglobata, si dice che fu
demolita nel 1870 e che è difficile oggi individuare esattamente il luogo
originario nel contesto urbano odierno a causa delle trasformazioni della
città. In ogni caso, grazie alle riprese satellitari di GOOGLE Maps è facile sovrapporre alla pianta del Nolli quella della
Roma odierna e possiamo così capire esattamente dove si trovava originariamente
ossia inglobata nell’edificio oggi confinante ad est con tra via Paganica, a sud con vicolo Paganica e a nord la piccola
piazza.
Se possiamo
ipotizzare la rimozione di questi affreschi attorno agli anni ’70 o ’80 del XIX
secolo non conosciamo a quando risale la decorazione pittorica della volta
dell’edificio. Spero che la risposta possa giungere da qualche altro
testo/guida di Roma al momento a me ignota.
Sarebbe importante
riuscire ad avere un riferimento cronologico per queste opere per capire in
quale momento dell’attività del pittore vanno ad inserirsi.
In ogni caso la
conoscenza dell’iconografia di queste opere potrebbe facilitare in futuro
l’individuazione di eventuali disegni o bozzetti che abbiano il medesimo
soggetto.
Per quanto riguarda
l’attività di incisore del Romolo ho trovato la testimonianza di un suo
intervento nella decorazione del Rerum Italicarum scriptores…, un’opera in 28 volumi edita tra il 1723 e il 1751[24]:
“per il secondo tomo Placido Romoli disegnò cinque vignette,
cioè l'ordinazione di san Pietro a sant' Apollinare (pag. 23), la donazione di
Tertullo a san Benedetto (pag. 351), il giuramento di Guido e Berengario per la
ripartizione di Francia e Italia alla morte di Carlo il Calvo (pag. 387), la
coronazione di Berengario fatta da san Leone (pag. 425), il re Desiderio
condotto in catene innanzi a Carlo Magno (pag. 495), e le lettere iniziali G,
T, N, V, C. Il Vasconi incise i
fregi e le lettere, meno la vignetta del re Desiderio e la lettera C (nella
quale è rappresentata la Francia, co' suoi distintivi del tempo del re Carlo
Magno, in atto di rompere una lancia, ch'era l'insegna dei re Longobardi), i
cui rami furono intagliati dal Sintes.”[25] (figg. 6-7-8-9-10).
Fig. 6 – F. Vasconi, da
Placido Romoli, L'ordinazione di san
Pietro a sant' Apollinare, incisione.
Fig.7 – F. Vasconi, da Placido Romoli, La donazione di Tertullo a san Benedetto,
incisione.
Fig. 8 – F. Vasconi, da
Placido Romoli, Il giuramento di Guido e
Berengario per la ripartizione di Francia e Italia alla morte di Carlo il Calvo, incisione.
Fig. 9 – F. Vasconi, da Placido Romoli, La coronazione di Berengario fatta da san
Leone, incisione.
Fig. 10 – G. B. Sintes,
da Placido Romoli, Il re Desiderio
condotto in catene innanzi a Carlo Magno, incisione.
A questo proposito si confronti quello che è scritto negli Atti del Convegno internazionale di Studi
Muratoriani, edito nel 1975: “Placido Romoli (Messina attivo 1690-1734)
pittore. Sono suoi: testata con “S. Ambrogio che celebra la messa” incisore G.
B. Sintes [G. B. Sintes sculpsit Romae] (T. I, P. II, p. 203). Testata “S.
Pietro e il B. Agnello” incisa da F. Vasconi in Agnelli, Liber Pontificalis (T. II, p. 23). Testata “Regina seduta,
dignitari, monaco cassinese, a d. grande corte d’onore” di sapore piranesiano,
incisa da F. Vasconi in Anastasius senior, Epitome
Chronicorum cassinensium (ibidem, p. 351). Testata: 'Patto di Berengario' incisa
da F. Vasconi in Carmen panegyricum de
laudibus Berengarii (ibidem p. 387). Testata “Sovrano che si genuflette al
papa nell’interno di chiesa dove è visibile la tomba di S. Pietro” incisa da F.
Vasconi”[26].
Fig. 11 - G. B. Sintes, da Placido Romoli, S. Ambrogio che celebra la messa, incisione.
Dunque il Romolo svolse un’intensa attività di
disegnatore per questa impresa editoriale di largo respiro verso gli anni ’20
del Settecento.
Le vignette di cui ho riportato le immagini
tradiscono l’adesione a modelli accademici del classicismo marattesco e
conchiano. E' importante sottolineare che in tutte queste incisioni si firma sempre "Placido Romoli".
Forse qualche altra notizia ancora sull’artista
messinese potrebbe venire dall’epistolario di Innocenzo Ansaldi
(1734-1816), pittore, storico dell’arte e poeta del
XVIII secolo, pubblicato nel 2008[27].
Ricapitolando,
Placido Romolo nasce probabilmente prima del 1690 a Messina, si trasferisce a
Roma forse all’inizio del secondo decennio del Settecento e nel 1712 vince il
Concorso Clementino. Svolge la sua attività presso la bottega dell’Architetto Carlo
Fontana. Come compagni troverà Filippo Juvarra e Pietro Passalacqua anch’essi
messinesi. Nel 1722 è ammesso alla Congregazione de’ Virtuosi del Pantheon,
insieme all’architetto-incisore Filippo Vasconi ed accolto, indiscusso, alla
corte del Papa Clemente VIII. Verso il 1723 realizza una
serie di disegni destinati ad essere tradotti in incisione per l’edizione
del Rerum
Italicarum scriptores. Contemporaneamente o successivamente affresca la volta della chiesa
di S. Sebastiano, con storie dei SS. Sebastiano e Valentino.
Infine si trasferisce a Napoli, “provvisionato” alla corte di re Carlo di
Borbone (re di Napoli tra il 1734 e il 1759), specializzandosi nei ritratti e in
opere con la tecnica dei pastelli. È vivente almeno fino al 1740.
Per
ora è tutto. Spero che questa panoramica possa servire in futuro come base di
partenza per una monografia sul misconosciuto Placido Romolo (o Romoli) artista
messinese del Settecento e serva da stimolo agli studiosi per più serie ricerche documentarie e d'archivio.
[1] Per una
panoramica sull’arte e sugli artisti messinesi prima del terremoto del 1908 si
vedano i recenti contributi di E. Natoli, La
forma “assente”: decorazione messinese del primo Settecento, pp. 81-86, in Per Citti Siracusano. Studi sulla pittura
del Settecento in Sicilia, a cura di G. Barbera, Messina 2012; ibidem, F. Campagna Cicala, Considerazioni sulla decorazione pittorica a
Messina nel Settecento, pp. 87-95.
[2] C.
Siracusano, La pittura del settecento in
Sicilia, Roma 1986, p. 213.
[3] F. Titi,
Descrizione delle Pitture, Sculture ed Architetture esposte in pubblico in Roma,
Roma 1763, p. 92; A. Gallo, Notizie di
pittori e mosaicisti siciliani o esteri che operano in Sicilia, ms.
15H18-19, XIX sec., Palermo, Biblioteca Nazionale, f. 679; P. Zani, Enciclopedia
metodica critica ragionata delle belle arti, Parma 1823, vol. I, p. 16; M. Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IX al XIX, 2 voll., Roma 1887; U.
Thieme, F. Becker, 1934, vol. XXVIII, ad
vocem; E. Benezit, Dictionnaire critique et documentaire des
peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs, III ed., Parigi 1976, vol
IX, p. 70, ad vocem.
[4] L.
Sarullo, Dizionario degli artisti
siciliani. II. Pittura, a cura di A.M. Spadaro, Palermo 1993, p. 463, ad vocem.
[5] Gallo, Notizie di pittori…, ms., cit..
Cfr., Agostino Gallo. Notizie degli
incisori siciliani, a cura di D. Malignaggi, Palermo 1994, p. 71.
[6]Su Placido Campolo si veda Michele Cordaro in http://www.treccani.it/enciclopedia/placido-campolo_(Dizionario-Biografico)/. (Curiosamente viene riportato che l’incisione tratta
dal suo quadro sia stata realizzata dal “Rombi”);. Siracusano1986, cit., p. 239-240; Agostino Gallo… 1994, cit., p. 71; I. Guccione, I pittori siciliani del Settecento.
L’apprendistato romano, le Accademie e lo studio del disegno. L’acquisizione di
nuovi modelli, pp. 33-104 in Agatino Sozzi e lo studio del disegno, a cura di D. Malignaggi,
Università degli Studi di Palermo, Dipartimento Studi Storici e Artistici, Storia del Disegno,
dell’Incisione e della Grafica, Palermo 2003, pp. 70-77, con bibliografia.
[7] Agostino
Gallo… 1994, cit., p. 71.
[8] Dal sito http://www.madonnadellalettera.it/il-culto-a-messina.html
[9] Dal sito
http://www.reginamundi.info/icone/lettera.asp
[10] Guccione 2003, cit., pp. 70-76.
[11] Ibidem, p. 74, fig. 11. Cfr. M. Tonor,
scheda 58, in I premiati dell’Accademia
1682-1754, catalogo della mostra a cura di A. Cipriani, Roma 1989, pp.
134-135.
[12] G. Bonaccorso, T. Manfredi, I Virtuosi al Pantheon. 1700-1758, Roma 1998,
p. 144.
[13] Aurora
Smeriglio in http://win.messinaweb.eu/page.php?id=4
[14] Francesco
Maria Niccolò Gabburri
(1675-1742), Vite di pittori, ms.
della prima metà del XVIII (ca. 1730-1741), in Firenze, Bibl. nazionale, Palatini E.B.9.5, voll. 4, p. 2165, IV,
C208r, ad vocem Placido del Casato.
[15] Si veda
in proposito la voce del Dizionario
biografico degli italiani Treccani, Volume
51 (1998), a cura di G. Perini, [anche on line
http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-maria-niccolo-gabburri_(Dizionario_Biografico)/].
[16] Su
Giuseppe Porcello vedi Natoli 2012, cit.,
p. 86, nota 3.
[17] L’attività
di pastellista viene confermata da Neil Jeffares, Dictionary of pastellists before 1800.
Online edition, 1 giugno 2010. “Romoli,
Placido. Messina 1690 – p. 1750, painter in Rome. According to Gabburri, he worked in oil and especially pastel,
specialising in portraits; he demonstrated his great talent at the court of
Carlo di Napolo in the 1740s. His
“bravura nei ritratti” won him the Croce del sangue di Cristo from the
Portuguese ambassador in Rome”.
[18] Roma antica e moderna: o sia Nuova descrizione di tutti gli edifici
antichi e moderni, tanto sagri quanto profani della città di Roma....,
presso Gregorio Roisecco, Roma 1750, vol. I, p.
307.
[19] J. Donovan, Rome ancient and modern,
and its environs, Roma 1844, vol. 2, p. 300.
[20] A. Pellegrini, Itinerario o guida monumentale di Roma
antica e moderna, Roma 1869, p. 478.
[21] M.
Armellini, Le chiese di Roma dal IV al
XIX secolo, Tipografia Vaticana 1891, http://penelope.uchicago.edu/Thayer/I/Gazetteer/Places/Europe/Italy/Lazio/Roma/Rome/churches/_Texts/Armellini/ARMCHI*/2/S.Angelo.html
[22] Su
Giuseppe vasi vedi Agostino Gallo…1994,
cit., pp. 90-98.
[23] http://romanchurches.wikia.com/wiki/Santi_Sebastiano_e_Valentino
[24] Rerum
Italicarum scriptores ab anno aerae christianae quingentesimo ad
millesimumquingentesimum, quorum potissima pars nunc primum in lucem prodit ex
Ambrosianae, Estensis, aliarumque insignium bibliothecarum codicibus. Ludovicus
Antonius Muratorius,... collegit, ordinavit, & praefationibus auxit,
nonnullos ipse, alios vero Mediolanenses Palatini socii ad MStorum codicum
fidem exactos, summoque labore, ac diligentia castigatos, variis lectionibus,
& notis tam editis veterum eruditorum, quàm novissimis auxere. Additis ad
plenius operis, & universae Italicae historiae ornamentum, novis tabulis
geographicis , & variis Langobardorum regum, imperatorum, aliorumque
principum diplomatibus, quae ab ipsis autographis describere licuit, vel nunc
primùm vulgatis, vel emendatis, necnon antiquo characterum specimine, &
figuris aeneis. Cum indice locupletissimo, Mediolani,
ex Typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, 1723-1751,
voll. 28.
[25] Bullettino
dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo e archivio muratoriano, Edizioni 57-58, 1941,
p. 180 .
[26] L. A. Muratori storiografo. Atti del Convegno internazionale di Studi
Muratoriani. Olschki 1975, pp. 144-145;148.
[27] Settecento di carta: l'epistolario di
Innocenzo Ansaldi, di E. Pellegrini, I.
Ansaldi, ETS, 2008, pp. 338 e 644.
Sull’Ansaldi si veda http://www.treccani.it/enciclopedia/innocenzo-andrea-ansaldi_(Dizionario_Biografico)/.